Il ripascimento del Poetto, un’opera inutile e dannosa

Poetto.jpgCosì sentenziava la Corte dei Conti della Sardegna il 21 luglio 2009 con la sentenza n. 1003/09 sul caso del ripascimento dell’arenile Cagliaritano. Un’opera inutile e dannosa, affermarono il Presidente relatore Antonio Vetro e i Consiglieri estensori Salvatore Littarru ed Antonio Marco Canu. Una sentenza condivisa da tutti. Nuda e cruda, impressa per sempre nella mente dei cittadini come un disastro ambientale di proporzioni immani. Il giudizio penale di terzo grado ha, altresì, visto condannate 15 persone tra tecnici e dirigenti. Il Procuratore regionale chiamò in giudizio Sandro Cabras, Lorenzo Mulas, Andrea Gardu, Salvatore Pistis, Antonello Priamo Luciano Gellon, Luigi Aschieri, Andrea Atzeni, Paolo Emanuele Orrù, Giovanni Serra, Renzo Zirone e Sandro Balletto per sentirli e condannare, in solido a ciascuno, al risarcimento del danno di 4.784.292,42 a favore della Provincia di Cagliari. “…LA SABBIA RITORNERA’ BIANCA COME PRIMA…” dichiararono Paolo Emanuele Orrù ed Antonino Ulzega docenti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari. Gravi irregolarità, e danno erariale, nell’esecuzione dei lavori. Gli accertamenti erano stati demandati al Nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di finanza che, con nota del 15 luglio 2005, aveva trasmesso la documentazione acquisita. Il Procuratore della Repubblica di Cagliari, aveva trasmesso alcuni atti del procedimento penale instaurato. Per la vicenda in esame, aveva richiesto al Gup del Tribunale di Cagliari l’emissione del decreto che disponeva il giudizio nei confronti di Zirone Renzo, Balletto Sandro, Pistis Salvatore, Gardu Andrea, Mulas Lorenzo, Baita Piergiorgio, Defendi Daniele, Atzeni Andrea, Orrù Paolo Emanuele, Serra Giovanni, Aschieri Luigi, Gellon Antonello Priamo Luciano e Vacca Marcello. Un disastro di incalcolabile entità, sotto il profilo ecologico ed ambientale, una devastazione non reversibile di gran parte del litorale costiero e il deturpamento di una bellezza naturale. La vicenda, ha suscitato l’indignazione della comunità ed ha avuto una clamorosa risonanza in Parlamento, in Consiglio regionale, nel Consiglio comunale e provinciale di Cagliari e nei mezzi di comunicazione regionali e nazionali. “Un’attività gestionale, di controllo e di vigilanza tecnica e scientifica improvvida, inefficiente e contraria a tutte le regole dettate dall’ordinamento dei lavori pubblici, per l’esecuzione delle opere a regola d’arte”. Il responsabile del procedimento e il direttore dei lavori, avrebbero dovuto eccepire che l’ubicazione delle cave era già stata indicata negli atti di progetto. In pratica, un pasticcio tra l’Impresa esecutrice dell’opera e l’amministrazione pubblica sulle scelte del prelievo della sabbia poi erroneamente prelevata in mare rispetto alle zone già individuate a terra. L’ingegner Cabras era il responsabile del procedimento. Ciò che è stato molto contestato è come mai l’opera sia proseguita nonostante sia stato più volte intimato giudizio penale, danno e un disastro ambientale annunciato. I lavori di ripascimento sono iniziati l’8 marzo 2002 e terminati il 27 giugno 2002. Fin dalle prime fasi esecutive è stato percepito che il materiale riversato sull’arenile presentava caratteristiche diverse da quelle previste in progetto, soprattutto per la presenza di notevoli quantitativi di pietre e di ciottoli e perfino di un ordigno bellico. Le proteste e le richieste di immediata sospensione delle operazioni di sversamento non hanno avuto alcun esito, malgrado la grave alterazione del quadro paesaggistico. Riguardo alle caratteristiche della sabbia la commissione di collaudo (ingg. Gian Paolo Ritossa e Mario Concas), in relazione alla composizione mineralogica, ha obiettato che la proporzione dei due componenti stabilita in capitolato (85% quarzo e 15% feldspati) individuava caratteristiche tali da non essere rinvenibili in natura. Sulla base dei valori medi risultati dai rilevamenti effettuati è stata determinata una quantità di materiale non conforme al fuso di capitolato. Secondo la Procura, queste considerazioni erano condivisibili soltanto per la parte relativa alle cause che hanno determinato una così abnorme difformità tra il progettato e il realizzato, mentre apparivano infondate le conclusioni e il giudizio finale di parziale accettabilità dei lavori. La scelta di procedere al ripascimento con sabbie provenienti dal mare ha costituito la violazione della normativa dettata per l’appalto e di tutta la disciplina vigente in materia di lavori pubblici. Nel corso dell’esecuzione dei lavori la commissione di monitoraggio ha avallato l’esito disastroso dell’intervento. Oltre al danno erariale, ha avuto rilevanza il danno all’immagine. L’esito disastroso del ripascimento ha destato notevole scalpore ed ha avuto risalto, per lungo tempo, sulla stampa locale e nazionale, con conseguente grave nocumento dell’immagine e del prestigio di tutta la pubblica amministrazione. La ricostruzione dei fatti ha evidenziato un concorso di comportamenti dolosi. La normativa che regola la materia ed i precedenti giurisprudenziali hanno consentito di delineare la gravità del comportamento tenuto dai responsabili del procedimento e dai componenti della direzione dei lavori. L’ingegner Sandro Cabras, nella sua qualità di dirigente del settore viabilità-trasporti della Provincia e di responsabile del procedimento fino al 2002 ha svolto un ruolo determinante nella vicenda. Consapevole dell’ambiguità degli atti di progetto e di contratto, dei fondali marini per il prelievo della sabbia, ha avviato le procedure di aggiudicazione dell’appalto all’Ati Mantovani. Le modalità operative prescritte non consentivano il prelievo di sabbia da siti diversi da quelli di terra. Dopo la verifica della soglia di anomalia, ha disposto l’aggiudicazione all’impresa, malgrado questa, avesse fornito solo prezzi relativi al prelievo da cave terrestri e non avesse indicato le modalità di prelievo e di immissione graduale, accettando, dall’ingegner Mulas, e Pistis, le giustificazioni su una offerta palesemente indeterminata, a fronte di due pronunce negative dei giudici amministrativi, omettendo di riesaminare “ex novo” tutto l’intervento, la cui buona riuscita era ormai compromessa, disponendo una nuova procedura di verifica dell’anomalia dell’offerta sulla falsariga della precedente, favorendo gli interessi economici dell’Impresa, in particolare giudicando equo il prezzo unitario di lire 16.000 a mc. della sabbia da cava di mare, cioè lo stesso prezzo della sabbia da cave di terra, sicuramente meno costosa di quella di terra. Per l’ingegner Lorenzo Mulas dirigente tecnico della Provincia sono valse le stesse considerazioni svolte riguardo all’ingegner Cabras. Infatti, pur avendo assunto l’incarico di responsabile del procedimento da gennaio 2002, egli risulta coinvolto anche in tutte le precedenti fasi dell’intervento, nella qualità di coordinatore del gruppo di progettazione, di ingegnere capo dei lavori e di componente della commissione preposta alla verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa. Inoltre, l’ingegner Mulas non ha dato seguito alla reiterata segnalazione dell’Impresa di correggere le coordinate della zona autorizzata di prelievo, difformi da quelle contenute nella richiesta di autorizzazione, questione determinante per la buona riuscita del ripascimento. Ha omesso di disporre l’immediata sospensione delle operazioni di ripascimento con materiale che non aveva alcuna delle caratteristiche previste in progetto, avallando verifiche ed analisi della direzione dei lavori. Ha sottoscritto lo stato di avanzamento con il quale è stato disposto il pagamento del materiale. Ha preso in consegna le opere realizzate per il definitivo utilizzo. Ha certificato l’ultimazione dei lavori entro il tempo utile contrattuale. Ha redatto la relazione conclusiva dell’intervento, nella quale ha attestato che gli interventi realizzati erano completamente funzionali e fruibili. Per l’ingegner Andrea Gardu, il geologo Salvatore Pistis e il geologo Antonello Gellon nella loro qualità di direttori dei lavori, hanno seguito tutte le fasi di realizzazione dell’intervento. Nello svolgimento delle loro funzioni, comportanti ingerenza e cooperazione con l’amministrazione, hanno violato la normativa in materia di opere pubbliche a presidio della buona e puntuale esecuzione dei lavori. Gardu e Pistis con una condotta dolosa, hanno tollerato la totale difformità dei lavori dal progetto e dal contratto, riguardo alla qualità della sabbia ed alle modalità e tempi di esecuzione del versamento sulla spiaggia. Il geologo Antonello Gellon, assistente della direzione dei lavori, imbarcato sulla draga con il compito di analizzare di volta in volta i campioni del materiale prelevato dal mare per verificarne le caratteristiche granulometriche, mineralogiche e di colore, a confronto con le prescrizioni di progetto e di contratto. Sull’arenile è stato riversato ogni sorta di materiale diverso dalla sabbia, comprese pietre anche di grosse dimensioni e un ordigno bellico, sebbene sia Gellon che i due direttori dei lavori avevano dichiarato, a seguito di verifiche di laboratorio, la perfetta conformità delle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto: dichiarazioni smentite dal consulente professor Valloni e dalla c.t.u. della Procura della Repubblica di Cagliari. Per il professor Andrea Atzeni, Luigi Aschieri, Paolo Emanuele Orrù e Giovanni Serra, la commissione scientifica di monitoraggio si è rivelata inutile e pregiudizievole del buon esito dell’intervento, coprendo le incongruenze della fase esecutiva dei lavori, con l’avallo delle risultanze delle verifiche e delle analisi sui campioni di materiale svolte dalla d.l., con la rassicurazione alla Capitaneria di porto sulla piena corrispondenza fra le sabbie messe in opera e quelle analizzate nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, con l’auspicio, a fonte di ulteriori inutili spese, che l’amministrazione individuasse un esperto in materia di comunicazione. Per Renzo Zirone e Sandro Balletto nella loro qualità, rispettivamente, di ex assessore ai lavori pubblici e di ex presidente della Provincia, in violazione di precisi doveri di mandato, hanno consapevolmente omesso di impedire l’esito disastroso dell’intervento. L’ex assessore Renzo Zirone ha operato fattivamente in tutte le fasi della vicenda oltre che ai dirigenti tecnici, ha curato i rapporti con il Ministero dell’ambiente, partecipando a riunioni sul ripascimento, ha seguito personalmente le operazioni di versamento del materiale, impartendo disposizioni sulla sicurezza dell’arenile. Tale attività, coerente con le funzioni di assessore ai lavori pubblici, costituiva la prova che era al corrente delle irregolarità sull’andamento dei lavori, senza attivarsi per dirimere questioni risolvibili alla stregua del buon senso e dell’esperienza comune. L’ex assessore Zirone ha scientemente agevolato, con i dirigenti tecnici della Provincia, l’impresa a discapito degli interessi erariali e della conservazione della spiaggia. In particolare, ha formulato la richiesta di proroga dei lavori, motivandola con l’eccezionale mareggiata, al fine di coprire l’inefficienza e i ritardi gravissimi dell’impresa, oltre che degli stessi tecnici dell’amministrazione. Pur essendo stato informato della difformità delle coordinate della zona di prelievo da quelle autorizzate dal Ministero, ha omesso di attivarsi presso quest’ultimo, ed ha caldeggiato l’esecuzione immediata dei lavori. All’ex presidente Sandro Balletto è stata ascritta la responsabilità della mancata adozione di iniziative, nell’esercizio del potere-dovere di: “sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti”. All’ex presidente Balletto è stata ascritta la specifica responsabilità di non aver ordinato ai propri dirigenti tecnici, incaricati della vigilanza e del controllo sull’esecuzione dei lavori, l’immediata sospensione delle operazioni di versamento del materiale sull’arenile. Fin dal primo versamento, si è levata una ondata di proteste di numerosi cittadini, delle associazioni ambientaliste, della stampa e di tutti i mezzi di comunicazione. Costoro responsabili si sono costituiti ed hanno presenato memorie difensive ed hanno eccepito le accuse. E’ emerso che i professori Gianni Lombardi e Giovanni Battista La Monica (Dipartimento di Scienze della Terra La Sapienza) consulenti tecnici del pm presso il Tribunale di Cagliari sono incorsi in un clamoroso refuso affermando nella loro relazione che “in nessun punto si menziona per le granulometrie un fuso di progetto, ma solo un fuso di riferimento”, errore da loro riconosciuto nel corso della deposizione resa all’udienza di aprile 2007. Il professor Gianni Lombardi ha ammesso che le valutazioni scaturite dalle sue analisi di laboratorio, non tenevano conto del “fuso di progetto”, ma muovevano dal presupposto errato che le sabbie da versare sul litorale dovessero corrispondere al “fuso di riferimento” (sabbie native), con conseguente infondatezza delle conclusioni dei consulenti del pm. Discusso il giudizio nell’udienza di giugno 2008, la Sezione, con sentenza parziale n. 1830 di settembre 2008 ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione per danno ambientale e per carenza del rapporto di servizio relativamente ai componenti della Commissione scientifica di monitoraggio. Ha poi respinto l’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza. Ha anche respinto la richiesta di sospensione nella definizione della causa in attesa della conclusione dei procedimenti pendenti in sede penale e civile. Ed ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale respingendo l’eccezione di prescrizione. Secondo la tesi del Procuratore regionale, i lavori in questione sarebbero stati eseguiti in maniera ampiamente e radicalmente difforme dalle prescrizioni contrattuali e di progetto. L’opera così malamente eseguita si sarebbe rivelata non solo inutile, ma addirittura dannosa, in quanto i lavori avrebbero causato un vero e proprio “disastro di incalcolabile entità, sotto il profilo ecologico e ambientale, in dipendenza della devastazione non reversibile di gran parte del litorale costiero e del deturpamento di una bellezza naturale assoggettata a vincolo”. Tale esito è stato l’effetto di una “sistematica e reiterata violazione della normativa che regola l’esecuzione delle opere pubbliche, dei più elementari canoni della corretta gestione dei beni pubblici e, perfino, del comune buon senso” imputabile alla condotta dolosamente illecita dei responsabili. Secondo la Procura attrice, sebbene non sia da disconoscere che l’opera avesse finalità di protezione civile, era aevidente però che la stessa si proponesse anche l’obiettivo di preservare gli aspetti ambientali e paesaggistici che contraddistinguevano la spiaggia. La qualità della sabbia da riversare nel ripascimento, avrebbe dovuto avere caratteristiche (di granulometria, composizione mineralogica e colore), individuate nel contratto e nel progetto, tali da renderla, se non perfettamente uguale, per lo meno adeguata, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, a quella preesistente nel sito di lavorazione. Del tutto comprensibile il commento del Procuratore regionale alle conclusioni della commissione di collaudo, la quale, pur avendo riscontrato gravi difformità della sabbia riversata rispetto alle prescrizioni contrattuali, aveva espresso un “giudizio di accettabilità della spiaggia esclusivamente dal punto di vista del suo utilizzo in quanto tale”, secondo cui tale giudizio “si risolve in un paradosso, in quanto anche una qualunque area sterrata può essere utilizzata al pari di una spiaggia definitivamente deturpata dalle operazioni di ripascimento”. I consulenti tecnici della Procura penale sono incorsi in un madornale errore, che sarebbe stato riconosciuto da uno di essi, cioè il professor Gianni Lombardi, nel corso della sua audizione dibattimentale, allorquando ha risposto, a precisa domanda, di non aver notato che la tabella granulometrica riportava un “fuso di progetto”. Il Procuratore regionale, ha fatto riferimento alle conclusioni cui sono giunti i consulenti tecnici incaricati dal pubblico ministero penale, che hanno confermato l’ampia difformità del materiale riversato rispetto alle prescrizioni contrattuali. I consulenti avevano esaminato sia campioni di sabbia da loro prelevata, sia, per completezza, anche porzioni dei campioni di sabbia repertati dai Carabinieri del Noe. Le conclusioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero penale sono state avversate dalle difese, in alcuni casi con supporto di consulenze tecniche di parte (Alberto Noli e Fabrizio Antonioli per i convenuti Atzeni, Orrù e Serra, Salvatore Critelli e Filippo Guerrieri per i convenuti Gardu, Pistis e Colantoni). La divergenza, già notevole, tra la qualità della sabbia riversata nel corso del ripascimento e quella prevista nel capitolato è divenuta ancora più sensibile perchè la sabbia prelevata dal mare è stata prelevata ad una profondità di oltre 5 metri dal fondale marino. Con riguardo al colore, la sabbia riversata è risultata più scura rispetto a quanto indicato nel capitolato. L’eccessiva presenza della componente organogena ha avuto l’effetto anche di accentuare il colore grigio scuro della sabbia. L’opera, pertanto, è stata eseguita con modalità tali da renderla del tutto inidonea ad una funzione essenziale per la quale era stata programmata, ed è stata ritenuta totalmente inaccettabile e quindi inutile. Dall’analisi della vicenda, un motivo di particolare sconcerto si è tratto dal constatare che l’evento in questione, era stato previsto in termini sostanzialmente molto simili a quelli in cui poi si è realizzato nei disastri ecologici. Le evidenziate esigenze si ponevano in contraddizione con il prelievo da mare, per le seguenti ragioni: difficoltà di reperimento a mare, in termini economicamente validi, di sabbie prive di limi e/o argille. La presenza della frazione limoso argillosa dà luogo, per un tempo non valutabile, a notevole torbidità che poteva compromettere la sopravvivenza della prateria a Posidonia oceanica; la mancanza di analisi e verifiche dirette che potevano dare certezza della qualità e compatibilità delle sabbie individuate, in indagini precedenti, in banchi nei fondali di 40 metri ed oltre, al di là della linea esterna della prateria a Posidonia; nell’ipotesi di reperimento di sabbie di qualità compatibile, l’approvvigionamento da mare per avere un sensibile riscontro economico, doveva prevedere l’immissione nell’ambiente di grossi quantitativi di materiali in tempi ristretti e ciò senza possibilità di operare quella gradualità dettata dal modello di simulazione e tarata con il monitoraggio, che è decisiva per la gradualità dell’intervento”. Si affermava, allo stato attuale “non sussistevano incertezze sull’opportunità di dare preferenza all’approvvigionamento dalle cave a terra rispetto al prelievo a mare e ciò … per la garanzia della idoneità e continuità della qualità delle sabbie, nonché per la certezza dei costi in relazione ai risultati che si volevano raggiungere con il ripascimento”. Il Comune di Cagliari aveva richiesto chiarimenti, tra l’altro, proprio sulla possibilità di prelevare la sabbia dal mare. Alcune ricerche condotte negli anni precedenti da docenti e ricercatori dell’Università di Cagliari avevano segnalato, sulla base di analisi effettuate su campioni prelevati dai fondali marini del Golfo di Cagliari, la presenza di contaminazioni di origine organica e da metalli pesanti, il che portava ad escludere che tali sedimenti fossero utilizzabili per il ripascimento del Poetto. Le conclusioni portavano all’affermazione: “allo stato attuale non sussistevano incertezze sull’opportunità di dare preferenza all’approvvigionamento dalle cave a terra rispetto al prelievo a mare e ciò, come visto, per le garanzie di carattere ambientale, per la continuità della qualità delle sabbie, per la certezza dei costi in relazione ai risultati che si volevano raggiungere ed infine particolare non trascurabile, per la possibilità di intervenire con gli adattamenti che il monitoraggio dovesse indicare come utili al fine di un miglioramento dell’intervento del ripascimento”. Secondo il Procuratore regionale, la previsione del capitolato non costituiva soltanto esiti deleteri dell’intervento, “ma un utile mezzo di copertura delle responsabilità di quanti hanno potuto e voluto operare, nell’ambito dell’intervento, per finalità non certamente riconducibili ad esigenze di interesse pubblico”. In ordine agli esiti delle analisi condotte dalla Geoplanning, si affermava: “l’esame delle stratigrafie indicava la presenza generalizzata di una coltre di sabbie bioclastiche, di colore nerastro o grigio nerastro. Sull’esecuzione dei lavori, cioè del riversamento finalizzato al ripascimento, la sabbia sversata si manifestò di qualità inadeguata, dando definitivamente corpo alle preoccupazioni in tutti coloro che, a vario titolo, avevano partecipato alla realizzazione dell’opera. Sin dai primi riversamenti vi furono segnalazioni e denunce, provenienti da organizzazioni ambientalistiche o anche da semplici cittadini, le quali richiamavano l’attenzione degli organi competenti sulla opportunità di sospendere l’esecuzione dei lavori sino all’effettuazione di adeguate verifiche sulla qualità del materiale prelevato dalla draga e sversato sul litorale. Viceversa, i lavori continuarono imperterriti, salvo una breve sospensione dovuta al ritrovamento di un ordigno bellico, tutti i soggetti che avevano la possibilità e il dovere di intervenire omisero, invece, di farlo e anzi taluni, con pervicacia, pretesero addirittura di sostenere, sfidando l’evidenza e il buon senso, che l’allarme destato nella popolazione fosse del tutto infondato, con gli esiti ben documentati e illustrati dai consulenti tecnici del pubblico ministero penale. Ad avviso della Sezione, tale evento ampiamente negativo (e anche doloroso, vista l’importanza persino affettiva che la spiaggia del Poetto riveste per la comunità locale) e il danno che ne è stata la conseguenza, sono l’effetto della condotta illecita di tutti i convenuti. La Sezione ritenne, che tale condotta non poteva che essere qualificata come dolosa. La responsabilità amministrativa può e deve essere imputata a titolo di dolo all’autore dell’illecito ogni qual volta la condotta di questi sia intenzionalmente e consapevolmente indirizzata alla violazione degli obblighi inerenti al rapporto di servizio intercorrente con la pubblica amministrazione, a prescindere dalla consapevolezza che l’agente abbia avuto del danno conseguente. E’ apparso, perciò, del tutto condivisibile l’affermazione del Procuratore regionale secondo cui quello che si è verificato è stato un “disastro annunciato”. In definitiva, lo sviluppo complessivo della vicenda indica chiaramente che tutti i responsabili, ciascuno nell’ambito del proprio ruolo, abbiano concorso nel conseguire purchessia l’obiettivo dell’esecuzione dell’opera entro i termini previsti, pur avendo la consapevolezza che non solo non vi fosse alcuna garanzia che la stessa sarebbe stata portata a compimento nel rispetto delle prescrizioni di contratto, ma anzi che vi fossero elevate probabilità del contrario. E’ stato spontaneo interrogarsi sulle ragioni che abbiano indotto i convenuti (responsabili) ad adoperarsi intenzionalmente affinché l’esecuzione dei lavori procedesse nonostante tutto. Sui motivi di questa condotta ci sono state diverse ipotesi, tra cui quella, ritenuta valida dal giudice penale in primo grado, secondo cui lo scopo perseguito era quello di favorire le ragioni patrimoniali dell’impresa. In questa sentenza della Corte dei Conti vengono esaminate in dettaglio le posizioni dei singoli convenuti: 1) Sandro Cabras, responsabile del procedimento sino a dicembre 2001 aveva il dovere di segnalare “eventuali disfunzioni, impedimenti o ritardi nell’attuazione degli interventi” e di fornire all’amministrazione “i dati e le informazioni relativi alle principali fasi di svolgimento del processo attuativo necessari per l’attività di coordinamento, di indirizzo e di controllo di sua competenza”. Tra i suoi poteri, vi erano quelli di accertare “la data di effettivo inizio dei lavori e ogni altro termine di svolgimento dei lavori”, di ordinare la sospensione dei lavori “per ragioni di pubblico interesse o necessità, nei limiti e con gli effetti previsti dal capitolato generale”, di irrogare “le penali per il ritardato adempimento degli obblighi contrattuali, anche sulla base delle indicazioni fornite dal direttore dei lavori” e di proporre “la risoluzione del contratto ogni qual volta se ne realizzino i presupposti”. L’affermazione proveniente dallo stesso interessato equivalente ad una confessione, ha lasciato tutti sconcertati. Non è consentito ad un funzionario pubblico far prevalere sue personali convinzioni in ordine a cosa sia meglio per l’interesse della pubblica amministrazione in presenza di aspetti che attengano alla legittimità dell’azione amministrativa: in poche parole, non è consentito adottare atti illegittimi arrogandosi il potere di stabilire che ciò sia più funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico. Non è dato comprendere con certezza se il movente della condotta del Cabras fosse quello di favorire le ragioni economiche dell’impresa, ovvero quello di portare a compimento l’esecuzione dei lavori anche a costo di comprometterne il buon esito per altre ragioni (scongiurare la perdita del finanziamento pubblico e/o la possibilità di azioni risarcitorie da parte dell’Impresa). E’ stato rilevato è che il Cabras dovette sicuramente avere, secondo una ragionevole conclusione basata sui fatti accertati, la consapevolezza che l’esecuzione dei lavori mediante il prelievo della sabbia dal mare avrebbe comportato, con elevatissima probabilità, il mancato rispetto delle prescrizioni contrattuali e le conseguenze che si sono poi verificate, e ciononostante intenzionalmente non fece nulla per impedirla, anzi si adoperò per consentire che il rapporto con l’Impresa proseguisse come se nulla fosse. 2) Lorenzo Mulas, ingegnere capo e, da gennaio 2002, responsabile del procedimento. Nella sua qualità, dapprima di coordinatore del gruppo di progetto, poi di ingegnere capo e di componente della Commissione di aggiudicazione, ha concorso alla causazione del danno. Quando i primi sversamenti effettuati hanno infatti reso palese quello che sarebbe stato l’esito, peraltro anche precedentemente da lui del tutto previsto, del ripascimento eseguito mediante il prelievo della sabbia dal mare, ha omesso di disporre, come era nei suoi poteri, la sospensione dei lavori e la risoluzione del contratto d’appalto per grave inadempimento da parte dell’impresa. L’ingiustificata omissione di tali essenziali e doverosi provvedimenti è apparsa il frutto di intenzionale decisione, avendo avuto la cognizione chiara della situazione e non potendondo ritenere che egli desse degli elementi a sua disposizione una lettura diversa da quella che qualunque persona dotata di buon senso, e tanto più un professionista, avrebbe operato. E’ stato più verosimile ritenere, come si desume da quanto dichiarato da lui stesso al pubblico ministero penale che lo ha sentito nel corso delle indagini penali, che la sua condotta sia stata orientata dalle pressioni provenienti dalla sfera politica. 3) Andrea Gardu e Salvatore Pistis, componenti dell’ufficio di direzione dei lavori e della Commissione di monitoraggio. In base al regolamento sui lavori pubblici il direttore dei lavori: “cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a regola d’arte ed in conformità al progetto e al contratto”, è responsabile “del coordinamento e della supervisione dell’attività di tutto l’ufficio di direzione dei lavori, ed interloquisce in via esclusiva con l’appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto”, nonché specificamente “dell’accettazione dei materiali, sulla base anche del controllo quantitativo e qualitativo degli accertamenti ufficiali delle caratteristiche meccaniche di questi in aderenza alle disposizioni delle norme tecniche”. Lo stesso “riferisce tempestivamente al responsabile del procedimento in merito agli eventuali ritardi nell’andamento dei lavori rispetto al programma di esecuzione” e procede alla sospensione dei lavori “qualora circostanze speciali impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte”. E’ apparso palese il ruolo determinante svolto nella causazione del danno da parte dei suddetti responsabili per la violazione degli obblighi su di essi incombenti. Il Pistis, oltre ad aver fatto parte anche della commissione di aggiudicazione ha collaborato alla stesura del progetto. Il che dà conto della ancor maggiore consapevolezza che egli necessariamente aveva sia delle caratteristiche della sabbia nativa sia delle implicazioni di un ripascimento eseguito con sabbia marina. Lungi dall’adottare o da proporre i provvedimenti che avrebbero consentito di evitare la deturpazione della spiaggia, hanno anch’essi intenzionalmente consentito la prosecuzione dei lavori, ignorando sistematicamente i plurimi segnali e le circostanze che nel corso della vicenda indicavano quale ne sarebbe stato l’esito finale. 4) Antonello Priamo Luciano Gellon, assistente della direzione dei lavori. Nella sua qualità di assistente della direzione lavori, è stato specificamente incaricato di condurre le verifiche sulla qualità della sabbia a bordo della draga, ovverosia, il suo compito era quello: “di analizzare di volta in volta i campioni del materiale prelevato dalla cava di mare per verificarne le caratteristiche granulometriche, mineralogiche e di colore, a confronto con le prescrizioni di progetto e di contratto”. I compiti del Gellon sarebbero stati in realtà diversi e ben più limitati, in quanto egli non avrebbe dovuto certificare la perfetta conformità delle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto, ma semplicemente verificare che il materiale dragato rientrasse nell’ambito della sabbia come tecnicamente intesa, ovverosia quella che, secondo la sedimentologia, è compresa granulometricamente nell’intervallo tra 2 mm e 0,075 mm. Si è infatti visto che il Gellon, contrariamente all’assunto della difesa, non doveva limitarsi a verificare la granulometria del materiale, e non nei ristretti termini da essa indicati, ma era tenuto anche ad effettuare l’analisi della composizione mineralogica. Poiché le analisi a lui demandate erano finalizzate alla “verifica immediata delle caratteristiche dei materiali” e costituivano “criterio di accettazione del carico effettuato”, sarebbe stato suo preciso dovere segnalare tempestivamente alla direzione dei lavori la riscontrata difformità, considerando che l’utilità delle analisi a bordo della draga erano proprio quelle di scongiurare il pericolo che venisse riversata sul litorale sabbia avente caratteristiche diverse da quelle previste in capitolato. 5) Paolo Colantoni e Leopoldo Franco, consulenti della direzione lavori. I professori Colantoni e Franco sono stati citati in giudizio dal Procuratore regionale perchè “si sono anch’essi espressi favorevolmente sulla conformità del materiale impiegato per il ripascimento alle prescrizioni contrattuali, in date precedenti a pagamenti effettuati per l’esecuzione dei lavori”. Il professor Colantoni è stato chiamato a collaborare con la direzione dei lavori in qualità di esperto di sedimentologia. Al professor Colantoni vennero sottoposti i risultati delle indagini geognostiche effettuate per conto dell’impresa su alcuni siti marini individuati come possibili giacimenti da cui prelevare la sabbia occorrente per il ripascimento. Il materiale appariva nel complesso idoneo al ripascimento della spiaggia per le sue caratteristiche tessiturali e composizionali, Colantoni osservò che “la stratigrafia delle carote raccolte è molto schematica e non era pertanto possibile stimare la rappresentatività dei campioni. Mancando inoltre il dettaglio dello studio eseguito ed in particolare dei profili ecografici e sismici, non era possibile valutare l’estensione e il volume del giacimento di sabbia e quindi l’idoneità della cava in generale”. A ragion delle osservazioni sulla impossibilità, perlomeno sulla base dei dati disponibili, di considerare idoneo il giacimento individuato, a tenore delle quali, si sarebbe dovuto ritenere impraticabile la decisione di procedere ugualmente al ripascimento attingendo dalla cava marina in questione, il professionista, a lavori iniziati, ma non ancora terminati, si espresse inopinatamente in termini sostanzialmente positivi sull’opera in corso di esecuzione. Minimizzò le criticità ormai evidenziatesi, che apparivano gli effetti conseguenti delle perplessità da lui stesso avanzate nei documenti facendo altresì affermazioni palesemente contrastanti con quelle di epoca precedente. Il Colantoni era in sostanza perfettamente consapevole che nei campioni tratti dal sito individuato dall’impresa vi era una significativa componente di materiale organogeno. 6) Andrea Atzeni, Paolo Emanuele Orrù, Luigi Aschieri e Giovanni Serra, componenti della Commissione di monitoraggio. Date le caratteristiche sperimentali dell’opera prevedeva la necessità dello svolgimento, da parte dell’amministrazione committente, di un monitoraggio “accurato e pressoché continuo sia per ottimizzarne l’efficacia sia per cogliere con prontezza eventuali situazioni di scompenso ed introdurre il più rapidamente possibile eventuali provvedimenti correttivi”. Era previsto che la Provincia si avvalesse di un apposito organismo comprendente, oltre al direttore dei lavori, delle figure scientificamente qualificate, ovverosia un supervisore scientifico (responsabile del progetto di monitoraggio), un direttore operativo (responsabile del coordinamento) e due responsabili di settore (nei campi rispettivamente della oceanografia, della idrodinamica e della idrobiologia il primo e della geomorfologia, del telerilevamento, della topografia e della elaborazione cartografica il secondo). L’incarico fù conferito ad alcuni esperti direttamente nominati dall’amministrazione provinciale, ovverosia Andrea Atzeni (supervisore scientifico), Paolo Emanuele Orrù (direttore operativo), Bruno Floris (idrobiologo) e Gianni Serra (geomorfologo). Successivamente, il Floris venne sostituito dal Luigi Aschieri. Secondo il Procuratore regionale, l’attività della Commissione di monitoraggio è stata caratterizzata “dalla più completa indifferenza verso i gravi problemi che sono via via emersi, in tutta la loro gravità, nel corso dell’intervento e perfino nella fase esecutiva”. Nel corso dell’esecuzione dei lavori la Commissione di monitoraggio ha peraltro evidenziato non soltanto la propria sostanziale inutilità e inadeguatezza ai compiti che era stata chiamata a svolgere nell’ambito dell’intervento, ma ha avallato, o addirittura tentato di coprire, l’esito negativo dell’intervento e il disastro che ne è stato il concreto risultato. La Commissione, in epoca precedente all’inizio dei lavori, ha sottovalutato la portata di quanto rappresentato dal Colantoni si è preoccupata, a lavori in corso, di raccomandare all’amministrazione l’esecuzione di una campagna informativa tesa a controbilanciare l’eccessivo clamore sollevato, a mezzo degli organi di stampa, sulle conseguenze del ripascimento. La Commissione avrebbe dovuto percepire e sottolineare, nell’esercizio dei propri compiti consultivi, il rischio elevatissimo che l’utilizzo di sabbia prelevata da un sito non adeguatamente esplorato potesse determinare esiti fortemente negativi sull’equilibrio ambientale e paesaggistico della spiaggia. Ma ancor più grave è stato il comportamento dei componenti della Commissione allorquando la Capitaneria di Porto di Cagliari chiese di fornire chiarimenti sui lavori di ripascimento e in particolare, sulla corrispondenza fra le caratteristiche delle sabbie messe in opera durante il ripascimento e le sabbie descritte nello studio approvato dal Ministero dell’Ambiente. Nell’occasione essi hanno fatto in pratica all’unanimità. Una difformità così palese ha indotto a due considerazioni: la prima è che non è stato rilevante che i componenti della Commissione potessero avere competenze scientifiche diverse da quelle più propriamente attinenti alla mineralogia. Secondo la tesi sostenuta dalla difesa dell’Aschieri, questi, in quanto chiamato a far parte della Commissione per la sua specializzazione in biologia, non poteva essere in grado di valutare – né avrebbe avuto il dovere – se i materiali del ripascimento fossero o meno conformi alle caratteristiche prescritte. La seconda considerazione è che una valutazione così semplice non può essere stata sbagliata per mero errore, sia pure causato da grossolana negligenza. Ne derivato che l’elemento psicologico riscontrabile nella condotta dei responsabili non poteva che essere quello del dolo nonostante la proposta, poi attuata, di condurre una campagna informativa nei confronti della popolazione, al fine di illustrare la “brillante” riuscita dell’intervento. 7) Gian Paolo Ritossa e Mario Concas, componenti della Commissione di collaudo. Secondo la legge: “il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell’appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore”. la Commissione osservò che “l’esame delle curve granulometriche eseguite a cura della D.L. portava, in linea generale, a riscontrare positivamente l’idoneità delle sabbie in riferimento al fuso granulometrico adottato. Lievi anomalie ai limiti inferiore e superiore della curva granulometrica non potevano alterare il giudizio sostanzialmente positivo e rientrano nella discrezionalità della D.L. ammessa dallo stesso capitolato”. Passando all’esame della composizione mineralogica, dopo aver riscontrato una (a suo dire) evidente contraddizione tra la norma di capitolato la Commissione pervenne, non si comprende bene come, all’affermazione che: “in realtà la percentuale dell’85% doveva intendersi riferita alla somma delle componenti fondamentali di quarzo e feldspati, come risultava dalla tabella 1 del suddetto allegato” da cui si desumeva che “la percentuale dei due minerali fondamentali era pari a circa l’80%con una ripartizione media tra quarzo e feldspati di 60-40%. Sul complesso, quindi, il quarzo doveva avere una percentuale pari al 48% e il feldspato al 32%”. Dopo tale a dir poco confusa, e soprattutto erronea, ricostruzione del contenuto delle prescrizioni contrattuali, la Commissione, preso atto delle analisi composizionali effettuate in draga su 41 carichi, non poté esimersi dal rilevare, esaminando la posizione dei direttori dei lavori, che: “l’esame composizionale delle sabbie provenienti dal dragaggio portava a riscontrare valori diversi tra quelli precedentemente descritti ed assumibili come di riferimento progettuale”. A questo la Commissione di collaudo decise: “di procedere, in una prossima visita, ad un ulteriore campionamento, da eseguire in contraddittorio, per sottoporlo ad analisi petrografica-mineralogica, simile a quella eseguita in fase di progetto, presso un laboratorio specializzato”. Immediatamente, invece, vennero prelevati tre campioni di sabbia da sottoporre ad analisi granulometrica presso il Laboratorio geotecnico Provinciale. Si è ritenuto che la condotta dei responsabili sia stata intenzionalmente orientata a consentire la prosecuzione dei lavori nonostante la evidente difformità dai parametri contrattuali della sabbia del ripascimento. Non altrimenti poteva essere spiegato il perché la Commissione, oltre ad aver accettato la grossolana alterazione dei parametri contrattuali di accettazione del materiale perpetrata dalla D.L., abbia evitato accuratamente di approfondire subito l’esame delle caratteristiche composizionali della sabbia e a prelevare immediatamente i campioni necessari alle autonome verifiche di propria competenza. E’ stato del tutto ragionevole arrivare alla conclusione che anche i collaudatori abbiano aderito al disegno politico di far eseguire l’opera a tutti i costi, rimandando al momento del collaudo finale quelle valutazioni negative, peraltro pure incomplete e non corrette, come giustamente sottolineato dal Procuratore regionale, sulla difformità della sabbia che, se espresse subito, avrebbero ostacolato sicuramente tale obiettivo. 8) Sandro Balletto e Renzo Zirone, ex Presidente ed ex Assessore ai Lavori pubblici, viabilità e trasporti della Provincia di Cagliari. Secondo il Procuratore regionale, “risultavano pienamente coinvolti nella vicenda, in quanto hanno consapevolmente tollerato e infine omesso di impedire, in violazione di precisi doveri di mandato, che l’attività ostensivamente pregiudizievole posta in essere dai dirigenti tecnici della Provincia e dai numerosi professionisti incaricati andasse a compimento, fino all’esito disastroso che ne è derivato”. Con specifico riguardo all’ex Assessore Zirone, “risultava per tabulas che ha operato fattivamente in tutte le fasi del processo attuativo dell’intervento di salvaguardia del litorale del Poetto”. L’attività svolta nell’esercizio delle funzioni di ex Assessore ai Lavori pubblici ha costituito “la prova inequivocabile che egli era perfettamente al corrente dell’andamento dei lavori e delle difficoltà, oltre che delle irregolarità, che di volta in volta emergevano”. Secondo il Procuratore regionale, che il responsabile “non abbia avvertito le gravi difficoltà e i possibili rischi che andavano profilandosi, in dipendenza di una assurda conduzione tecnico – amministrativa dei lavori. Così pure era inconcepibile, che egli non si sia attivato per dirimere questioni risolvibili, più che sotto il profilo tecnico, alla stregua del buon senso e dell’esperienza comune”. Zirone “per motivi che verranno accertati in altra sede giudiziaria, ha scientemente agevolato, in uno con i dirigenti tecnici della Provincia più sopra citati, le ragioni economiche dell’Impresa appaltatrice a discapito non solo degli interessi erariali, ma perfino della conservazione della spiaggia, che è rimasta definitivamente deturpata per effetto dell’improvvido intervento di salvaguardia”. All’ex Presidente Balletto è stata ascritta “la responsabilità della mancata adozione di iniziative e provvedimenti, nell’esercizio del potere – dovere di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti previsti dalla legge” e, conseguentemente, “di non aver ordinato ai propri dirigenti tecnici, incaricati della vigilanza e del controllo sull’esecuzione dei lavori, l’immediata sospensione delle operazioni di versamento del materiale sull’arenile”. Tale omissione è stata, secondo il Procuratore regionale, del tutto inaccettabile, a fronte delle pressanti e giustificate sollecitazioni provenienti dall’opinione pubblica (organi di informazione, associazioni ambientalistiche, semplici cittadini). Nel caso dello Zirone, inoltre, risultava documentalmente che lo stesso ha preso parte attiva nella vicenda già prima dell’inizio della fase esecutiva dello sversamento della sabbia, intervenendo in più circostanze in prima persona, firmando atti, partecipando a riunioni, presso il Ministero dell’Ambiente o la Commissione di monitoraggio, e a incontri con la stampa, nel corso dei quali difese l’operato della Provincia e, in particolare, dei suoi organi tecnici, sostenendo la corretta esecuzione del ripascimento. In relazione alla consapevolezza che egli invece avrebbe avuto, secondo l’attore, dell’irregolare esecuzione dell’opera, non poteva che ritenersi certo che il responsabile sia stato costantemente informato dell’andamento dei lavori, e in particolare dei ritardi, ingiustificati, anche tenendo conto dei periodi di sospensione dovuti al contenzioso giudiziario. Ma alla Sezione regionale, è apparso di ancor più significativo rilievo il fatto che, come si è avuto modo di vedere, il responsabile sia stato reso edotto direttamente e ripetutamente dall’impresa, prima e durante l’esecuzione dei lavori, dell’errore contenuto nel decreto ministeriale circa l’estensione dell’area autorizzata per il prelievo della sabbia. L’ex Presidente Balletto, né l’ex Assessore Zirone si attivarono in tal senso anzi avallarono e sostennero, anche pubblicamente, la necessità che i lavori proseguissero senza soluzione di continuità. Nel contesto descritto, in cui il pericolo di un’irreversibile deturpazione della spiaggia doveva costituire, anche agli occhi di chi non possedeva cognizioni tecniche, un’eventualità tutt’altro che ipotetica, che si prospettava come l’effetto di una scorretta esecuzione dei lavori, sarebbe stato preciso dovere dell’ex Presidente della Provincia, nel puntuale esercizio dei poteri di sovrintendenza, non ordinare la sospensione dei lavori, cosa che, esulava dalle sue competenze, ma richiamare i funzionari, responsabile del procedimento e direttori dei lavori, che tale sospensione avrebbero potuto disporre, al puntuale e responsabile esercizio dei propri poteri. Essendo stati il Balletto e lo Zirone evidentemente al corrente del rischio elevato che una prosecuzione dei lavori comportasse un rilevante danneggiamento della spiaggia, non poteva pensarsi che la loro condotta non sia stata determinata da una volontaria accettazione di detto rischio. Andava quindi affermato che il pregiudizio in questione si compendia nella perdita di immagine pubblica che ne è derivata dal comportamento gravemente illecito di soggetti legati da un rapporto di servizio alla pubblica amministrazione, sulla quale ultima finiscono per riverberarsi gli effetti negativi, in termini di lesione della sua dignità e del suo prestigio, connessi a detta attività illecita. La spiaggia del Poetto ha rivestito un’enorme importanza per la comunità locale, non solo in attinenza a profili strettamente economici, connessi allo sfruttamento turistico del sito, ma anche in sé, per la sua bellezza incomparabile che ne faceva, e in parte tuttora ne fa, un simbolo per gli stessi Comuni nel cui territorio insiste e, più in generale, per l’intera Isola. Tanto più grave è stato quindi considerare tale lesione quando si è constatato che l’esito in questione è stato dimostrato essere la conseguenza di comportamenti che, al di là dei loro risvolti penali, ancora non erano accertati (succesiva condanna al terzo grado di giudizio) e che comunque non interessavano tutti i responsabili nel presente giudizio, sono stati però sicuramente contraddistinti da volontaria pretermissione dell’interesse pubblico primario sotteso all’opera appaltata, tenuti talvolta con pervicacia e arroganza, ma comunque sempre con sostanziale disprezzo dell’opinione pubblica, all’insegna, non, come dovrebbe essere tratto distintivo di una pubblica amministrazione, della trasparenza dell’azione amministrativa, ma al contrario, dell’opacità spinta talora sino al punto persino del mendacio. L’immagine che una siffatta condotta ha trasmesso ai propri cittadini è in sostanza, nella migliore delle ipotesi, è stata quella di un’amministrazione al contempo inefficiente e chiusa al confronto, tesa a perseguire interessi tanto contrari a quelli pubblici quanto oscuri, e quindi, in una sola parola, inaffidabile. Ne è conseguita la condanna di tutti i responsabili al risarcimento del danno con la somma di 3.986.910,35 euro. La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna (successivamente anche la Corte di Cassazione li condanna sul penale), ha pronunciato definitiva condanna per: Sandro Cabras, Lorenzo Mulas, Andrea Gardu, Salvatore Pistis, Antonello Priamo Luciano Gellon, Luigi Aschieri, Andrea Atzeni, Paolo Emanuele Orrù, Giovanni Serra, Renzo Zirone, Sandro Balletto, Gian Paolo Ritossa, Mario Concas, Paolo Colantoni, e Leopoldo Franco a pagare in solido tra loro, a titolo di risarcimento di danno, a favore del pubblico erario e per esso a favore della Provincia di Cagliari, la somma di euro 4.784.292,42

Il ripascimento del Poetto, un’opera inutile e dannosaultima modifica: 2012-10-15T15:41:18+02:00da patrizio-indoni
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