FALLIMONTI. L’annus horribilis del Premier: dalle bufale anticasta ai favori a banche e manager

Monti.jpgdi Carmine Gazzanni

 

L’esperienza Monti – a meno che non vada in porto il progetto del Monti-bis – può considerarsi conclusa. Il tempo di approvare la legge di stabilità, dopodiché Napolitano scioglierà le Camere e tutti a casa. Ma cosa è stato fatto durante questi tredici mesi di esperienza tecnica? Troppe promesse, pochi fatti, tante “bufale”. Ecco un resoconto del fatto e non-fatto da Monti. In barba a quella “equità” di cui governo e maggioranza troppo a lungo si sono riempiti la bocca. Dalle bufale anti-casta rimaste lettera morta ai favori assicurati, invece, a banche e manager. Dalle false promesse su province e legge elettorale fino all’azzeramento della democrazia determinata dall’abuso del voto di fiducia (ben 46). “I tre pilastri sono: crescita, rigore ed equità. Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi. Non saremo credibili, se non torneremo a crescere […] I sacrifici per risanare il debito e far ripartire la crescita saranno equi; più le riforme saranno eque, più saranno efficaci”. Con queste parole, il 22 novembre 2011, Mario Monti otteneva la fiducia in Senato: 281 sì e 25 no. L’esperienza tecnica oggi è arrivata al tramonto. Il tempo di approvare la legge di stabilità (nel caso contrario l’Italia entrerebbe in gestione provvisoria) e Napolitano scioglierà le Camere. Probabilmente ancora prima delle vacanze natalizie. Sono passati circa tredici mesi dall’insediamento. Tredici mesi durante i quali quelle parole pronunciate a Palazzo Madama – e poi ribadite a più riprese da esecutivo e maggioranza – sono state profondamente disattese. Alcuni dati: secondo l’ultimo bollettino Istat il tasso di disoccupazione è salito del 3,3% da settembre. In pratica, oltre 93 mila disoccupati nel giro di meno di tre mesi. Trentamila disoccupati in più ogni mese. Altri numeri li fornisce il Centro studi della Cgia di Mestre: tra Imu, aumento di un punto dell’Iva, stangata sulle accise sui carburanti e aumento delle addizionali regionali, il peso del Fisco nelle tasche degli italiani è cresciuto. Con un aggravio medio per i contribuenti che quest’anno potrà raggiungere i 726 euro. Ancora. Proprio oggi sono stati diffusi anche i dati sul Pil. Sempre secondo l’Istat, nel terzo trimestre del 2012 il Pil è diminuito dello 0,2% in termini congiunturali, meno di quanto era avvenuto nel secondo trimestre, quando il calo è stato dello 0,7%. Su base annua, invece, parliamo addirittura di un Pil sceso del 2,4% analogamente al secondo trimestre. Ora la domanda: i sacrifici a cui sono stati chiamati i cittadini come sono stati ripagati dalla classe dirigente? Come detto, con tante promesse e pochi, pochissimi fatti.

TAGLIAMO IL NUMERO DEI PARLAMENTARI? PER IL MOMENTO NO – 


Sin dall’inizio tutti, maggioranza e governo, avevano premuto sulla necessità di una classe dirigente all’altezza della situazione: per chiedere grossi sacrifici al cittadino – avevano detto – bisogna cominciare a tagliare i privilegi della Casta. Peccato, però, che alle parole non siano seguiti i provvedimenti. Si era detto di tagliare il numero dei parlamentari (da 630 a 508 deputati, da 315 a 250 senatori), ma non se n’è fatto nulla perché, se in un primo momento sembravano essere tutti d’accordo sul testo, Pdl e Lega hanno inserito una norma per l’elezione diretta del capo dello Stato. Risultato: per l’approvazione si richiedeva nuovamente doppia lettura in Parlamento. Tempi troppo lunghi. Meglio accantonare.

 

LA BUFALA DEL TAGLIO AGLI STIPENDI –

 

Decreto Salva-Italia, primo provvedimento del governo Monti: taglio degli stipendi per i dipendenti pubblici. “In nessun caso – si legge infatti nel testo – l’ammontare complessivo delle somme loro erogate da pubbliche amministrazioni potrà superare questo limite”. In pratica, le retribuzioni avranno un parametro di riferimento: quello del primo presidente della Corte di Cassazione. In soldoni, ai parlamentari 700 euro in meno in busta paga. Peccato, però, che nei fatti non sia proprio così. Tale decurtazione è arrivata contestualmente ad un’altra norma, che ha segnato il passaggio dai vitalizi al calcolo contributivo per l’ottenimento dell’assegno pensionistico. Ed ecco allora la furbata: se non ci fosse stato questo taglio, i parlamentari, col passaggio al contributivo, avrebbero preso ancora più di quanto prendono oggi: i vitalizi (sistema retributivo) entrano nell’imponibile e, dunque, sono tassati. I contributi previdenziali invece (previsti, chiaramente, dal contributivo) no. In altre parole, con la stessa pensione, passando dal retributivo al contributivo, il guadagno “lordo” (tassato) si sarebbe tradotto in un guadagno netto. Il taglio, dunque, è stato solo formale perché lo stipendio, al netto, resterà lo stesso. Nessuna decurtazione concreta quindi.

CARE AMICHE BANCHE…


Di tutt’altro avviso, invece, l’atteggiamento nei confronti delle banche. Nonostante lo Stato avanzi ben 5 miliardi dagli istituti. Eppure proprio le fondazioni bancarie sono – insieme a scuole paritarie e sedi dei partiti – tra coloro sollevati dal pagamento dell’Imu. Non solo. Durante la gestione Monti, nessun pressing è stato fatto per la restituzione del gravoso debito. In cambio, però, sono state concepite norme che guardano con benevolenza agli interessi delle banche. Così è stato con la norma del decreto Salva Italia tramite cui il ministero dell’Economia (allora in mano allo stesso Monti) “fino al 30 giugno 2012 è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con scadenza da tre mesi fino a cinque anni, o a partire dal 1 gennaio 2012 a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite”. Un modo per non far fallire le banche, insomma. Così è stato – ancora – con il provvedimento tramite cui si è stabilito che dal mese di marzo gli enti di previdenza (come ogni pubblica amministrazione o ente pubblico) non potranno più effettuare i pagamenti in contante delle pensioni d’importo superiori ai mille euro, per via del divieto cosiddetto della “tracciabilità” imposto dalla manovra. Ergo: i pensionati dovranno farsi un conto corrente. A vantaggio, ancora una volta, delle banche. Sarà un caso ma tanti esponenti di quest’esecutivo sono stati ex manager di punta di istituti bancari (da Fornero a Ciaccia, da Gnudi a Passera, finendo con lo stesso Monti).


NESSUN TETTO AI MAXI-STIPENDI. CONVIENE A TUTTI (LORO) –


Era stato il deputato Pdl Guido Crosetto a sollevare la questione con un emendamento: basta maxi-stipendi. Nel testo che aveva presentato si leggeva infatti che le pensioni “erogate in base al sistema retributivo, non possono superare i 6.000 euro netti mensili. Sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo”. In più se questa pensione avesse goduto anche di altri trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, “l’ammontare onnicomprensivo non può superare i 10.000 euro netti mensili”. Emendamento – ovviamente – bocciato anche per le forti pressioni dell’esecutivo. Il motivo? Forse perché molti esponenti del governo hanno un passato nel settore pubblico. Insomma, nessuno vuole rischiare di perdere la preziosa e onerosa pensione. Qualche nome? I ministri Elsa Fornero (anche docente universitaria), Giampaolo Di Paola (ammiraglio), Annamaria Cancellieri (prefetto), i sottosegretari Gianfranco Polillo (funzionario della Camera), Antonio Catricalà (magistrato) e perfino il commissario straordinario Enrico Bondi. Facciamo un esempio concreto. Prendiamo Giampaolo Di Paola. Il ministro della difesa incamera oltre allo stipendio di 200 mila euro circa l’anno (15 mila al mese) anche la pensione da ex ammiraglio (nel 2011 circa 24 mila euro al mese, circa 314 mila euro all’anno).


PROVINCE SANE E SALVE. MA CHI VOTA IL PRESIDENTE? –


Sin dall’insediamento di Mario Monti si era detto chiaro e tondo: bisogna abolire le province. Altro non sono che carrozzoni. Sono passati tredici mesi e niente è stato fatto. Sebbene infatti il provvedimento sia stato approvato, è necessario un decreto – che non arriverà mai perché in scadenza a fine dicembre – che renda attuativa la norma. Non solo. Spulciando i vari disegni di legge al vaglio di Camera e Senato ne spunta uno – firmato dallo stesso Monti – che va in direzione diametralmente opposta: “Modalità di elezione del consiglio provinciale e del presidente della provincia”. Particolarità del ddl: ad eleggere il consiglio, nel caso in cui il testo venga ripreso nella prossima legislatura, non sarà più il cittadino, ma solo i sindaci e i consiglieri dei comuni interessati. Insomma, rimangono le province, ma intanto l’elettore viene tagliato fuori.


LA VERGOGNA DELLA LEGGE ELETTORALE–


Altro giro, altra promessa non mantenuta: riforma della legge elettorale. Il Parlamento tutto aveva chiarito l’esigenza di modificare il Porcellum. Risultato: andremo proprio con il Porcellum al voto. Nulla è cambiato. Tante chiacchiere, tante bozze presentate (e spesso modificate proprio per ritardare una possibile approvazione), ma non si è arrivato a nulla. La dimostrazione più palese dell’inettitudine di gran parte dei parlamentari che riempiono i seggi di Camera e Senato.


TROPPE LEGGI AL PALO E DEMOCRAZIA NON ASSICURATA –


372 e 46. Questi sono i numeri che rendono chiaro il fallimento – ovviamente non solo per colpa diretta di Monti – dell’esperienza tecnica e della maggioranza che l’ha sostenuta. 372 sono infatti i provvedimenti approvati contenuti nei vari decreti partoriti dal governo, ma che richiedono ancora una norma che li renda effettivamente attuativi. Mancano, in altre parole, di un decreto attuativo. Stiamo parlando, dunque, di ben 372 norme al momento valide solo sulla carta. È il caso di testi importanti come quello – appunto – sulle province, sull’Ilva, sul Dl Crescita, quello sulla delega fiscale. E ancora: dai tagli anti-casta (il cosiddetto decreto anti-Batman) alla riforma del Titolo V della Costituzione. Chiudono il quadro tre decreti, anche questi in attesa di altrettante conversioni in legge (che quasi certamente non arriveranno). Quello sulla revisione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina spa (scadenza fissata al 12 gennaio); quello sul blocco al 2,5% del prelievo sul Tfr degli statali (29 dicembre); e infine quello sul pagamento dei tributi per i terremotati emiliani (16 gennaio). 46, invece, sono i voti di fiducia a cui è ricorso Mario Monti. Una cifra troppo alta anche in un periodo di emergenza economica. Nemmeno Berlusconi è riuscito a fare tanto. Il Cavaliere, infatti, dal 2008 fino alla sua caduta è arrivato a quota 52: poco più di uno ogni mese di governo (43 mesi è durato l’esecutivo targato B). Una cifra assolutamente elevata. Basti pensare che il Berlusconi II – quello per intenderci che è arrivato alla scadenza naturale della sua legislatura – in cinque anni era arrivato a 31. Ebbene, Monti l’ha superato e non di poco: in tredici mesi è arrivato a 46. Il calcolo è agevole: quasi quattro voti di fiducia ogni mese. Eppure, nonostante questo quadro fallimentare, c’è ancora chi continua ad insistere: Monti è l’unico che può governare in questo stato di crisi. Prego?

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FALLIMONTI. L’annus horribilis del Premier: dalle bufale anticasta ai favori a banche e managerultima modifica: 2012-12-11T13:33:00+01:00da patrizio-indoni
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