Cagliari, caso Scardella: questo è il tribunale di Cagliari

Scardella.jpg(tratto dalle dichiarazioni del fratello Cristiano Scardella). Il 29 dicembre del 1985, il p.m. Sergio De Nicola ordinò l’arresto di Aldo Scardella a seguito di “sospetti”, da lui considerati indizi: stessa altezza di uno dei banditi, precisamente quello che si avvicinò per primo al commerciante (Aldo era alto 1.70, e in quegli anni c’era metà della popolazione maschile sarda alta così) questo perchè nel dicembre del 1985, verso le ore 22.30, tre individui armati e mascherati fecero irruzione in un supermarket di Cagliari. Rimase ucciso, con tre colpi di arma da fuoco, il titolare, Giovanni Battista Pinna. Assieme a lui vi era il genero, Marco Collu, per il quale ancora oggi non è chiara la dinamica della sua fuga dai rapinatori assassini. Il giorno dopo gli investigatori, chiamati da una donna, rilevarono, in un giardino vicino al supermarket e vicino alla casa di Aldo Scardella, un passamontagna usato presumibilmente, secondo gli inquirenti, dai malviventi. La donna trovò il copricapo ben occultato, ma i poliziotti scrissero nel verbale che era ben visibile. Il 26 dicembre 1985 il capo della squadra omicidi, Oreste Barbella, procedette alla perquisizione in casa Scardella, poichè una fonte anonima, mai registrata dalla polizia e dall’autorità giudiziaria, dichiarò al dirigente che vide Aldo, due o tre giorni prima del delitto, con altri due passare nei pressi del …supermarket… e d’altronde dove avrebbe dovuto passare se era il passaggio obbligatorio per tornare a casa? Sottoposto ad interrogatori e ad esami giudiziali, come del resto tutta la sua famiglia, anzi hanno denunciato il fatto che il fratello Mario, non aveva nessuna colpa se non quella di essere fratello dell’indiziato Aldo Scardella, fu sottoposto anche lui ad un esperimento osceno: “…un cane doveva annusare il copricapo incriminato ed individuarne il proprietario…” l’umiliazione fu lacerante, essendo lui un Brigadiere della Guardia di Finanza, e non resse a tale colpo: 12 mesi dopo la morte di Aldo, Mario morì di leucemia. I banditi dovevano inoltre essere della zona, perchè scapparono in un mandorleto (adesso non c’è più) e solo chi abitava li vicino, poteva conoscer quei luoghi… ma allora perchè non hanno arrestato tutta Cagliari, visto e considerato che le coppiette si appartavano notoriamente li?… Infine, il passamontagna, per gli inquirenti, riconduceva alla persona di Aldo… Già, “indizi” che se non erano presi singolarmente, come specifica il pm Sergio De Nicola, ma tutti collegati tra loro, davano una valenza probatoria consistente nei confronti di Aldo Scardella. Aldo fu incarcerato in gran segreto per una settimana, non rivelarono il carcere in cui fu segregato e non avvisarono nemmeno la famiglia, anzi ne venirono a conoscenza solo l’indomani, dalla stampa, e a nulla servirono le centinaia di telegrammi mandati da loro nelle carceri dell’isola per poter formalizzare la nomina di un avvocato difensore, poichè furono tutti censurati. Aldo era senza avvocato, non aveva neanche quello d’ufficio. Si resero conto che stavano avendo a che fare con un metodo Cileno… a nulla servirono le proteste dell’avvocato Gianfranco Anedda, Aldo non aveva diritti, ma sopratutto non si poteva avere nei suoi confronti un minimo di umanità: non gli permisero di ricevere nemmeno la biancheria personale. I radicali, con Francesco Rutelli primo firmatario, presentarono una interrogazione parlamentare, ma il ministro rispondeva in Parlamento, su indicazioni del tribunale di Cagliari, notizie diverse dalla realtà dei fatti. Secondo i magistrati di Cagliari, l’avvocato Gianfranco Anedda non aveva nessun titolo quando chiese informazioni in procura sul loro congiunto, poichè egli aveva già un legale, ma nulla di più sbagliato, poiché nella prima settimana di detenzione Aldo non formalizzò la nomina di nessun legale. Si rileva dagli interrogatori svolti dal pm, che il maggior indizio di colpevolezza lo ricavò dal fatto che Aldo, il giorno dopo a quello in cui avvenne il delitto, comprò, come era sua abitudine, il giornale. E al magistrato parve strana quella sete di notizie. Il difensore chiese la scarcerazione per assoluta mancanza di indizi, considerando anche il fatto che la prova del guanto di paraffina era risultata negativa. Ma il magistrato rispondeva che il guanto di paraffina non lo scagionava, perchè poteva essere tra quelli che non aveva sparato. In pratica era il pm stesso che lo scagionava: lui aveva emesso un ordine di cattura identificando nella persona di Aldo, seppur basandosi soltanto sull’altezza, come quello che sparò al commerciante…poi rispondendo al difensore dichiarava che poteva essere tra quelli che non avevano sparato… ma l’ordine in questo caso doveva considerarsi nullo… anzi tutto nullo sin dall’inizio, da quando non gli permisero di nominare un avvocato difensore. Il giudice istruttore Carmelina Pugliese e il tribunale della libertà (Carlo Piana, Francesco Sette e Bruno Alfonsi) ebbero modo di verificare questa incongruenza, ma nulla fecero, tutto regolare per loro: sussistevano, a loro parere, sufficienti indizi per legittimare l’arresto. Giunto al terzo interrogatorio Aldo decise di non rispondere al pm: si era accorto che era inutile, gli contestava fatti generici…“…avvocato questi interrogatori non servono disse amareggiato…”. Lo stesso magistrato oltrepassò i termini dell’indagine sommaria non trasmettendo gli atti al giudice istruttore entro i 40 giorni. La scarcerazione in quel caso doveva essere automatica, ma fù tenuto dentro lo stesso, e il giudice istruttore che aveva l’obbligo di interrogarlo non lo interrogò mai, e non lo scarcerò neanche lui pur dovendo farlo…Per quattro mesi Aldo non poté vedere nessuno dei familiari, dovettero implorare… e le visite sono state quattro, l’avvocato non lo vide mai, l’isolamento fu totale…come un primitivo: barba e capelli lunghi, e vestiti sporchi, anche se la famiglia provvedeva regolarmente a mandarglieli… gli fu concessa solo la lettura, che gli rese meno dura la prigionia. Il fratello lo andò a trovare circa un mese prima che morisse e gli espresse la preoccupazione che la giustizia lo volesse far fuori perchè dietro l’omicidio di cui era accusato vi era qualcosa di molto grave e lui serviva come capro espiatorio. Era questa la sua convinzione, e d’altronde non l’ha mai nascosta, perché anche al suo fermo di polizia disse agli investigatori: me cercate! Voi già lo sapete chi è che l’ha ucciso… ma questo non lo percepì solo lui ma l’intero quartiere: si respirava un clima di mestizia. La fonte che nominò Aldo, non lo indicò mai come l’autore dell’omicidio, disse che lo vide passare, due o tre giorni prima del delitto, assieme ad altre due persone, nei pressi del negozio in cui avvenne il fatto criminoso, quindi non c’erano i presupposti per procedere alla perquisizione in casa sua, d’altronde non vi era un indizio di reato. Gli agenti che fecero irruzione mandati dal commissario Oreste Barbella, procedettero con la motivazione dell’art. 41 delle leggi di pubblica sicurezza: ovvero quando vi è un sospetto che in una casa ci siano armi o materiale esplodente, non è necessario il mandato del magistrato. Ma non vi era un collegamento di Aldo con delle armi… inoltre nel rapporto che fece l’ispettore Giuseppe Rotella alla dirigenza della Squadra mobile tre giorni dopo l’omicidio, menzionò Aldo come uno degli autori dell’efferato delitto, secondo lui la fonte gli riferì questo, quando invece l’ispettore mai avrebbe contattato l’informatore, lo disse espressamente lui 15 giorni dopo al magistrato: la fonte contattò solo il commissario Oreste Barbella. Gli inquirenti, in primis la polizia, non perlustrarono mai il mondo della mala: Aldo era incensurato, e non è stato mai segnalato come uno che frequentava ambienti malavitosi, come chi era dedito a rapine e ad altri fatti criminosi, egli non era mai stato indagato per nessun motivo. Nel fascicolo processuale riguardante il suo caso non vi è nessun collegamento, da parte degli inquirenti, con ambienti o persone recidive in fatto di rapine e armi: e invece le indagini si erano concentrate unicamente verso di Aldo. All’indomani dell’efferato omicidio del commerciante, gli investigatori commentarono alla stampa: chi ha sparato è un “frillo” (hanno usato loro il termine… forse intendevano come uno schizzato, forse uno inetto). Poi dissero che erano tossici improvvisati rapinatori… il commerciante ha reagito e ciò gli è stato fatale. Non solo sbagliarono ad arrestare Aldo, ma furono anche penosi nell’individuare la psicologia del soggetto, visto e considerato che quelli che confessarono anni dopo l’omicidio del commerciante, e per questo furono processati, erano malavitosi affermati. Era una grave leggerezza: sei mesi prima che succedesse il grave fatto di sangue, furono fermati dei malviventi nei pressi di Cagliari, a bordo di una macchina in cui furono rinvenute delle armi, e tempo dopo si scoprì che un’altra vettura era vicino a loro. Queste persone erano in procinto di fare una rapina, tutti quanti facevano parte della cosidetta banda di Is Mirrionis, molte di esse sono state coinvolte per il delitto del commerciante. Alcuni di questi personaggi erano in rapporti di amicizia con alcuni dipendenti del negozio in cui avvenne il delitto. La vettura era di proprietà del magistrato che arrestò Aldo Scardella, lo stesso che non colse un nesso tra i malavitosi fermati dai Carabinieri e i dipendenti del commerciante. Particolare curioso a questi dipendenti i documenti furono chiesti solo dodici anni dopo il terribile fatto di sangue. Nel 1988 l’ispettore Biagio Trapani, nel rapporto che presentò alla dirigenza, indicava altre persone come responsabili per il delitto in cui rimase coinvolto Aldo. Queste stesse persone anni dopo furono portate in causa dagli inquirenti, e uno di questi verrà successivamente condannato per il delitto del commerciante. Ma quel rapporto rimase cristallizzato in Questura, nonostante il tribunale chiese espressamente al capo della squadra mobile e ai suoi collaboratori se vi erano notizie rilevanti per il caso Bevimarket, e ciò gli fu chiesto un anno dopo del rapporto di Biagio Trapani. Ma la questura rispose che nulla di nuovo era emerso. Aldo Scardella è sempre stato innocente perchè contro di lui non vi era mai stata una condanna e la morte dell’indagato aveva estinto il reato. Ma il giudizio più severo, ahimè, è quello della gente, perchè doveva continuare a rimanere un colpevole per sempre. Anni dopo, nel processo di archiviazione sopratutto per altri indiziati, la fonte figura invece come testimone: la circostanza in cui Aldo e altri due furono visti nei pressi del negozio, parrebbe che non la dichiari un confidente ma un testimone, e si sà che un testimone ha una valenza giuridica molto più rivelante di una fonte anonima. La morte scatenò accese reazioni da tutte le parti, persino la gente più distratta, ancora oggi, ricordando la vicenda, prova un brivido interminabile. Tutti i detenuti d’Italia furono tolti dall’isolamento…dopo che una cella si era aperta riempendo di luce un cadavere penzolante sinistramente dalle sbarre: effetto Scardella ha tuonato radio carcere, quel morto ha fatto un piccolo miracolo. Anche Enzo Tortora se ne occupò. Dopo la sua assoluzione scelse Cagliari come uscita pubblica… andò al cimitero, portò dei fiori e usò parole molto dure contro chi amministra la giustizia trascurando la dignità umana… intervenne anche tempo dopo, quando il giudice istruttore Carmelina Pugliese fu lievemente censurato dal Csm per non aver interrogato Aldo. Enzo Tortora disse, in quella occasione, che Aldo Scardella era il simbolo dell’ingiustizia, poichè una vita stroncata non vale più di una censura. A nulla servirono le inchieste del Csm e del Ministero della giustizia. Al Csm non furono rilevati il fatto che ad Aldo non permisero neppure di ricevere la biancheria personale, nessun accenno al fatto che per una settimana rimase privo di assistenza legale, e soprattutto fecero figurare che l’inchiesta sommaria fu tenuta regolarmente, scrissero anche che non oltrepassò i 40 giorni dei termini consentiti. Il Ministero fu blando nei confronti dei magistrati, e nelle testimonianze ci furono delle contraddizioni molto rivelanti da parte delle autorità. Nell’audizione svolta dal procuratore di allora Giuseppe Testaverde, egli dichiarò di aver ricavato l’impressione che l’isolamento venisse utilizzato ai fini di una confessione e di accusare. Non ebbero tanto esito le interrogazioni parlamentari. Una curiosità: Luciano Violante, ex magistrato, nella sua interpellanza menzionò alcune incongruenze degli ex colleghi. Dal caso di Aldo furono fatte proposte e disegni di legge sull’isolamento e sull’arresto, e sono state recepite nel nuovo codice di procedura penale. Nel 1988 accade un fatto inquietante, di cui i famigliari vennero a conoscenza soltanto anni dopo. Appresero che Aldo non si sarebbe suicidato, bensì “fu un’accidentale conseguenza di una disgraziata simulazione messa in atto in modo maldestro dallo stesso Aldo, cui era stato suggerito da altro detenuto, il ricorso alla ben nota e ricorrente prassi carceraria dei falsi tentativi di suicidio, inscenati al fine di ottenere la nomina di un piantone con il quale condividere il compenso speciale a quest’ultimo spettante, pur nell’assoluta carenza di una qualsivoglia seria intenzione di togliersi la vita”. Così affermava Carmelina Pugliese, all’epoca giudice istruttore, che fece richiesta di revisione del procedimento disciplinare presentata in data 11-10-1991 in seguito alla sentenza del giudice istruttore di Cagliari del 16-05-1989, nella quale si sarebbe accertata la causa della morte di Aldo. Come è stato possibile omettere la conoscenza di un procedimento di tale portata alla famiglia? Resta il forte rammarico di non averlo potuto difendere dall’accusa sopracitata, secondo la quale Aldo avrebbe voluto condividere il compenso speciale col detenuto Attilio Fanari! La morte di Aldo era già stata accertata come suicidio dalla Procura di Roma. I primi accertamenti sulla morte di Aldo vennero fatti dal pm Cagliaritano Enrico Altieri, lo stesso pm che fece la requisitoria per la menzionata sentenza del 16-05-1989. Attilio Fanari, interrogato a suo tempo sulla vicenda, non disse nulla di rilevante; di questa sua prima deposizione nel procedimento del 1988 fino alla sentenza del 1989 non vi è alcuna traccia. Alla fine del 1996, un esponente di spicco della mala Cagliaritana, considerato un boss, confessò il suo coinvolgimento per il delitto di cui fu accusato Aldo, e chiamò in causa altre persone. Il boss morì prima del processo: fu trovato impiccato, e la versione ufficiale fu suicidio. Poco tempo prima lui e la sua famiglia subirono delle minacce in relazione al fatto dell’omicidio del commerciante. Ma le sue dichiarazioni furono usate ugualmente per processare le altre persone coinvolte. Il dato più desolante, parrebbe, da questa vicenda processuale, che tutta la mala Cagliaritana sapeva dell’innocenza di Aldo Scardella, e se ciò un giorno dovesse venire confermato, anche la giustizia ne aveva avuto sentore. Non si sà se sia più brutto accanirsi con uno vivo senza giustificati motivi, così come è stato per Aldo, o invece accanirsi come è successo sempre per lui anche da morto: riferito al fatto che secondo gli inquirenti egli non si suicidò… inoltre nel processo alle altre persone che poi vennero condannate con sentenza definitiva nel 2002, un ispettore della squadra omicidi chiamato a ripercorrere le fasi delle prime indagini e a come arrivarono ad Aldo, tale Sergio Suergiu, non mancò di specificare l’atteggiamento aggressivo a cui si sarebbe trovato di fronte ad Aldo, tipico secondo lui del rapinatore impulsivo… e che andarono a casa sua perchè la fonte avrebbe detto loro che Aldo era l’assassino, nulla di più sbagliato… e come detto prima la famiglia sa il perchè… e che nelle conversazioni telefoniche si mettevano d’accordo sugli orari e dissero: Ripresentiamoci dal pubblico ministero perchè quella versione da noi fornita potrebbe crearci dei problemi. Si premette che all’epoca la famiglia di Aldo non aveva il telefono. Inoltre solo Aldo è stato interrogato dal pm, ma sette giorni dopo il suo arresto… quindi non è chiaro cosa volesse dire questo ispettore. In tutti questi anni si è dedicato alla ricerca di documenti, iniziative sperimentali, esposti ecc. Un fatto che colpì la famiglia Scardella è quando chiesero alla Procura generale di Cagliari la relazione intercorsa tra la stessa procura e il ministero della giustizia sui fatti della vicenda di Aldo, inoltre chiedevano le motivazioni che diede, l’allora magistrato che arrestò Aldo, alla procura generale quando nascose in un carcere segreto Aldo. L’istanza fù rigettata alla famiglia per il motivo che erano secondo loro atti di natura politica. Visionando le carte processuali la famiglia di Aldo si rese conto che il giorno prima della sua morte la direzione carceraria telefonò all’ufficio istruzione in relazione allo stato di isolamento di Aldo, e gli posero la domanda di cosa fosse successo. Poi la famiglia di Aldo riscontrarono dall’autopsia che gli fu rinvenuto in corpo del metadone. Ma guardando la cartella clinica non vi era menzionato il metadone, quindi decisero di vederci più chiaro e fecero una istanza alle due carceri dove era stato recluso, chiedendo se avesse, nel periodo di detenzione, fatto uso di metadone. Le carceri da loro interpellate gli risposero subito: egli non è mai stato durante la detenzione in terapia metadonica. Pensarono, tutto è spiegabile, che potessero averglielo passato, ma non riuscivano a capire perchè i medici scrissero nel referto autoptico le quantità e i dosaggi che avrebbe preso Aldo visto che non era in terapia metadonica durante il periodo di detenzione. La famiglia fece una denuncia contro ignoti alla procura di Cagliari ma il pm Giancarlo Moi chiese l’archiviazione. Si opposero, e il giudice per le indagini preliminari gli diede ragione, sostenendo che la loro denuncia era da prendersi in considerazione. Moi fece ricorso in cassazione per una probabile invasione di competenze del giudice istruttore, e nell’occasione fece anche riferimento ai loro esposti passati, tra i quali quelli fatti alla polizia, e un esposto, che invece non hanno mai fatto, contro la famiglia del commerciante. Di questa sua ultima affermazione ancora la famiglia subisce le conseguenze, poichè qualcuno ogni tanto glielo viene a dire. Peccato che non trovarono l’atto in cui il magistrato Giancarlo Moi sostenne questo, altrimenti la soddisfazione di denunciare anche a lui se la sarebbero presa. La cassazione diede ragione a Cristiano Scardella. Fu periziata la lettera lasciata da Aldo, e interrogato il medico che per primo gli prestò i soccorsi. Parrebbe che la perizia sia stata effettuata su una fotocopia, e che abbiano invece dichiarato di averla svolta nell’originale. Comunque fu chiesta di nuovo l’archiviazione, e Cristiano si oppose chiedendo un indagine più ampia. Ma il giudice questa volta archiviò. Sono passati più di due anni, e Cristiano ha richiesto la riapertura delle indagini questa volta con un avvocato di fuori. La fine è ancora da scrivere. Nel novembre del 2009 fece irruzione in casa sua la polizia, e si trovava addormentato nella sua camera. Lo sottoposero ad una serie di domande, ma mai che gli dicessero la motivazione della loro visita. Nell’occasione era presente anche sua madre, anziana e affetta dal morbo di Alzheimer, ed è stata testimone di tutta l’operazione delle forze dell’ordine. Alla fine, nel momento in cui lo stavano portando con loro, gli dissero che il suo scooter era simile (aveva lo stesso colore) di quello di un malvivente che aveva appena tentato una rapina. Ma il motore del suo scooter era freddo, sancendo con questo la sua estraneità al fatto delittuoso. Per dovere di cronaca deve dire che la squadra mobile che è piombata in casa sua, è diretta dallo stesso dirigente che rilevò le confidenze della fonte che nominò Aldo, e sempre lui ordinò la perquisizione. Come si suol dire: ironia della sorte! Giorni dopo nessun politico prese posizione nessun magistrato che aprisse un fascicolo per verificare cosa fosse successo. Praticamente nessuno prese posizione. Sperava, non tanto per biasimare la polizia, che spendessero qualche parola di solidarietà non tanto per lui, ma per sua madre, che ha pagato e sta pagando il prezzo più alto da una giustizia che non saprebbe definire. Non sà cosa pensare, a volte gli vengono pensieri e dice: devo pagare perchè ho sempre usato la ragione e avvalendomi delle sedi che questo Stato democratico ci permette di usufruire… non lo so sarò di sicuro anche io una testa matta… In conclusione, vuole dire che chi si è occupato della vicenda di Aldo non sono solo due magistrati, ma intorno a loro ve ne erano altri, poi dopo la sua morte ce ne sono stati molti di più, compreso il Csm. Vuole sperare dal profondo del cuore che fra tanti magistrati che si sono occupati di lui ve ne siano altri che amministrano la giustizia in diverso modo. A distanza di quasi 25 anni si attende ancora giustizia per un ragazzo morto innocente, a causa di un accanimento processuale ingiustificato e crudele. Una morte chiede chiarezza, la pretende l’uomo, la esige la storia, poiche la verità processuale di questo caso significherebbe una svolta per correggere un sistema sbagliato che ha fatto molte vittime e ancora ne sta facendo. Cristiano si rivolge a tutta la società… chiede a tutti di riflettere su questo problema… se non prendendo spunto dal caso di Aldo che se ne usi un altro allora. Il tempo prescrive tutto, ma la memoria di un uomo vittima di una grave ingiustizia è sempre attuale, e come tale senza tempo.

Cagliari, caso Scardella: questo è il tribunale di Cagliariultima modifica: 2013-02-14T12:47:09+01:00da patrizio-indoni
Reposta per primo quest’articolo