Il ponte non c’è, però lo paghi

Ponte Messina.jpg(di Gianfrancesco Turano – L’Espresso)

 

 

Già costata centinaia di milioni ai contribuenti, la ‘grande opera’ sullo Stretto è un buco nero senza fine: adesso lo Stato deve versare alle aziende le pesantissime penali, in base al contratto voluto da Berlusconi. Il concetto di strage applicato all’economia è un po’ forzato, ma la vicenda del ponte fra Sicilia e continente presenta alcune caratteristiche in comune con la strategia della tensione applicata alle infrastrutture. In primo luogo, non c’è un colpevole certo del disastro dopo oltre 41 anni di tentativi, annunci e rinunce conclusi con la liquidazione della società concessionaria Stretto di Messina (Sdm) firmata dal premier uscente Mario Monti il 15 aprile. In secondo luogo, il contenzioso avviato dai vincitori della gara per il ponte (consorzio Eurolink) si annuncia lungo, dispendioso e variegato, visto che comprende il tribunale ordinario, i tribunali amministrativi, l’Unione europea e i vari lobbisti, avvocati e consulenti che, dietro congruo compenso, si daranno da fare per una transazione monetaria dopo la “caducazione”, come si dice in linguaggio giuridico, del contratto. In questa partita, arrivata all’ennesimo tempo supplementare, si può già indicare chi vince e chi perde. Lo Stato è sconfitto su tutta la linea. Il decreto legge del novembre 2012, che di fatto ha segnato la fine dell’opera a firma dell’allora ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, ha aperto il vaso di Pandora. A marzo di quest’anno il general contractor Eurolink ha fatto causa, dopo avere sciolto il contratto per inadempienza da parte dello Stato. Nel tentativo di proteggere i suoi 383 milioni di capitale sociale, il governo Letta ha messo la Sdm in liquidazione giudiziaria un mese dopo. La patata bollente è stata affidata a Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto bipartisan di vari ministri che, a 60 anni, ha trovato il suo personale ponte verso la pensione in uno scenario che replica lungometraggi interminabili, da Fintecna a Federconsorzi. A vincere, senza se e senza ma, è il consorzio Eurolink guidato con il 45 percento da Impregilo insieme a due imprese italiane (Condotte e la Cmc della Lega cooperative) e due straniere (gli spagnoli di Sacyr e i giapponesi di Ishikawajima Harima). C’è un sesto socio, in verità. Si chiama Argo costruzioni, ha il 2 percento e appartiene a Beniamino Gavio, padrone di Impregilo finché Pietro Salini lo ha spodestato con un takeover avviato l’estate scorsa e concluso con l’Opa due mesi fa. Salini, che pure ha sostenuto finanziariamente la recente campagna elettorale del movimento Scelta Civica di Mario Monti, nonostante la lite sia sorta proprio per opera del governo dei tecnici, intende andare a fondo per recuperare il tesoro del risarcimento dopo avere investito pesantemente nell’Opa. Ancora più arrabbiati sembrano gli spagnoli, secondi soci di Eurolink con il 18,6 percento, che si sono rivolti alla loro ambasciata. La Sacyr minaccia di portare la lite in Europa e di far raddoppiare le penali rispetto alle richieste, già parecchio onerose, formulate al tribunale italiano. A guardare le carte, che “l’Espresso” è in grado di anticipare, Eurolink formula tre possibilità ai giudici. Nell’ipotesi di verdetto più favorevole, quella che presuppone la validità del recesso, il general contractor chiede un minimo di 630 milioni di euro, più interessi e danni eventuali. L’ipotesi intermedia (recesso non valido, ma contratto sciolto per colpa dello Stato) vale poco più: 608 milioni di euro, più le spese per la variante di Cannitello, altri 24 milioni di euro. Nell’ipotesi numero tre Eurolink si accontenta, per così dire, che il contratto sia valido, che il ponte vada costruito e che lo Stato mantenga gli impegni sottoscritti da due governi Berlusconi dal 2004 al 2010. La Sdm si difende come può. Intanto la società pubblica si richiama all’articolo 5.2 dell’accordo con Eurolink, dove l’eventuale indennizzo per la mancata realizzazione del ponte è fissato da una formula bizantina: il 5 per cento dei quattro quinti del valore dell’opera, più le spese sostenute. Già qui c’è materia per una contesa infinita. Il 5 percento dei quattro quinti vale 160 milioni di euro se si conta il valore del ponte alla firma del contratto, nel marzo 2006 (3,9 miliardi di euro). Ma nel frattempo il valore dell’opera è più che raddoppiato ed è stimato in 8,5 miliardi di euro. Raddoppia anche la penale?

Il ponte non c’è, però lo paghiultima modifica: 2013-06-23T13:58:00+02:00da patrizio-indoni
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